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Zingaretti punta alla leadership del Pd, l’assemblea contesta Renzi


Dopo la sequela di sberle e sconfitte dolorose subite dal fatidico referendum del 4 dicembre 2016 alle più recenti amministrative, il Pd torna a fare introspezione per tentare di aprire, tra molti volti vecchi e poche idee, una nuova fase storica che miri a recuperare i voti dell'elettorato di sinistra sedotto e poi deluso dalla cavalcata di Matteo Renzi. Si è aperta oggi, non senza polemiche e momenti di manifesta contestazione, l'Assemblea nazionale del Pd, svoltasi all'hotel Ergife e che ha sancito (e confermato), almeno fino al congresso di ottobre e delle primarie che dovrebbero tenersi a inizio 2019, subito prima delle europee, Maurizio Martina quale segretario di partito, con un'approvazione quasi unanime, con soli 7 contrari e 13 astenuti.


Matteo Renzi


Ad inaugurare l'assemblea il discorso del segretario dimissionario e guida de facto della linea ancora in voga, Matteo Renzi che, a modo suo, tra il serio e il faceto, con quel modo di dire "a" per intendere "z", ha prima elencato i suoi demeriti, per avvalorare i meriti, circa le sconfitte a ripetizione subite dal Pd, elencandone i motivi in dieci punti cardine e ha poi tentato di risollevare animi e orgogli di un uditorio piuttosto "moscio", suscitando reazioni contrastanti, tra chi lo ha applaudito e chi lo ha apertamente contestato. «Mi assumerò tutte le responsabilità. Ma non sono l'unico responsabile» e ancora «E' necessario analizzare il voto del 4 marzo e poi quello relativo alle ultime amministrative: ma è superficiale il giudizio di chi dice che le abbiamo perse tutte». Insomma i soliti "ma" di Matteo, che si prende tutte le colpe, ma con riserva.

Nell'accorato appello ai colleghi, Renzi ha rivendicato alcune scelte, definite "lungimiranti" e ribadito la bontà di diverse intuizioni politiche, invitando il collegio a «guardare avanti anziché indietro» ricordando che «la rottamazione è fallita perché è stata incompleta». Sull'accordo mai stretto ma prospettato con i 5 Stelle dopo il voto del 4 marzo, Renzi ha difeso a spada tratta la sua scelta di isolamento, spiegando che «penso che il M5S sia la nuova destra, una corrente della Lega, hanno trasformato lo scontro politico in Italia in una zuffa personale, hanno inquinato le falde della democrazia».

Momento clou del discorso all'assemblea quello in cui il fautore del patto del Nazareno ha puntato il dito sulle colpe del partito, reo di non aver avuto sufficiente coraggio nel portare avanti le riforme strutturali necessarie all'Italia per ripartire, la scarsa presenza sui social che ha determinato un distacco eccessivo con l'elettorato e il non aver rinnovato, specie al Sud, la classe dirigente. Intervento, quest'ultimo, che ha spaccato la sala, coi presenti divisi fra chi incitava le parole dell'ex inquilino di Palazzo Chigi e di chi lo fischiava. Renzi ha concluso il suo monologo con un monito alle frange contestatrici: «Smettiamola di considerare nemici quelli accanto a noi. Ci rivedremo al congresso, riperderete il congresso e il giorno dopo tornerete ad attaccare chi ha vinto», invitando all'unità di intenti necessaria per ricostruire un'alternativa credibile alla «barbarie dei movimenti sovranisti».


Maurizio Martina

«Dobbiamo tutti essere consapevoli che ci tocca scrivere questa pagina nuova ben oltre le nostre divisioni. Abbiamo le energie per costruire questa ripartenza, questo riscatto; noi siamo fondamentali per costruire l'alternativa ma non basteremo a noi stessi. Non si tratta di guardare al passato e neppure di fare discussioni tra gruppi dirigenti, ma di dare una speranza a tante persone disilluse che guardano ancora a noi». È incentrato invece sul "noi", sulla condivisione e sulla ripartizione delle responsabilità il messaggio rivolto alla platea dal segretario confermato Maurizio Martina che prospetta una nuova missione per il partito, rivolta a un lavoro di superamento di quanto accaduto negli ultimi anni. Martina ha quindi aperto a una nuova fase congressuale, ribadendo la necessità di un «nuovo percorso con una nuova classe dirigenziale».


Nicola Zingaretti

Potrebbe rappresentare una valida alternativa alla gestione "renziana" del Pd il modello rappresentato dal governatore del Lazio Nicola Zingaretti, che ha prospettato l'istituzione di quelli che lui chiama cantieri dell'Alternativa, ovvero il ritorno del partito a guardare con favore e come modello d'ispirazione a quelle realtà minori del livello locale che al momento rappresentano il vero collante fra la sinistra e il suo elettorato. In un post su Facebook il presidente regionale ha applaudito alla proposta congressuale di Martina: «Il Pd si muove. Con fatica, ma finalmente si muove. Al bando ora ogni conservatorismo o nostalgia del passato con ricette che hanno fallito. Bene dunque la proposta di Martina per svolgere il congresso nei tempi politici giusti, prima delle decisive elezioni amministrative ed europee. Bene anche garantire, tuttavia, uno spazio adeguato per una discussione vera», prima di rifilare una stoccata all'ex segretario Renzi: «A me quello che più mi ha colpito dell'intervento di Matteo e un pò anche mi è dispiaciuto è che alla fine non si predispone mai all'ascolto degli altri, delle ragioni degli altri. Per un leader è un grandissimo limite».


Tra tante belle parole e future speranze, l'unica, al momento, solida e sincera realtà del cantiere Pd è proprio quella tipica dell'inizio dei lavori: polvere e macerie ovunque. Vedremo chi e soprattutto come sarà in grado di tenere insieme l'ultimo esempio di quella macropolitica sparita dal nostro scenario pubblico o se l'esperienza delle scissioni, con LeU esempio lampante, tornerà quale tema preponderante all'ordine del giorno.

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