di Michele Lo Foco
C’è un elemento che a me, uomo etero, sostenitore delle donne e dalle loro caratteristiche, non convince in questo momento globale di protesta contro la violenza verso le donne.
E’ come se mancasse una parte della storia, che inizia con l’uccisione di quella povera ragazza, poi prosegue con il miracoloso film della Cortellesi e termina con 500.000 persone in piazza per manifestare.
Tutto condivisibile, niente di più orrendo che la violenza del più forte sul più debole, niente di più ingiusto che impedire la libertà e la vita di qualcuno, ma se le donne meritano il rispetto che viene invocato da tutti, che ne è del ruolo del corpo delle donne utilizzato in tutti i modi possibili e immaginabili nella comunicazione attuale e nell’ intrattenimento?
Che la sessualità sia una pulsione genetica e insostituibile lo spiegava bene Freud e lo rimarcava un suo maestro, Schopenauer, descrivendo il moto continuo della natura che si autogenera e si difende. Dalla pulsione nasce il desiderio e dal desiderio il rapporto ed i figli.
Ma il desiderio maschile è utilizzato ormai come propellente per qualunque attività commerciale: “Striscia la notizia”, aldilà delle rassicuranti intenzioni dell’Amministratore Delegato, all’ora di punta fa ballare su un tavolo due veline seminude, Bonolis allestisce scherzosamente sagre di donne nude, ogni automobile, ogni materasso, ogni profumo, ogni detersivo utilizza il corpo femminile per pubblicità e per attrarre gli sguardi. Anche il cinema vive di visioni intime.
Come è possibile ignorare questi richiami sessuali, moltiplicati da internet, o le notizie che riguardano vigilesse o poliziotte che moltiplicano il loro stipendio comparendo in guepiere su OnlyFans? Siamo tutti costernati quando una mente fragile, per possesso, per gelosia, per odio compie un atto disperato contro una donna, e certamente la violenza deve essere punita nel modo più severo possibile senza possibilità di giustificazione, ma le menti fragili, gli uomini che perdono il controllo, sono abitanti di una società, di un ambiente che continua a risvegliare pulsioni sessuali senza dare risposte se non commerciali, rendendo il corpo nudo della donna, dice Galimberti, intoccabile come dietro un vetro trasparente.
Il ritmo marziale delle indossatrici, la loro velocità di esposizione, danno la misura di un’esca gettata e ritirata, di un piacere che la mano non riesce a toccare, e di una frustrazione che alcuni uomini superano solo col possesso della donna che sono riusciti a catturare e che, come le bestie feroci, devono possedere in esclusiva.
Il corpo della donna nella trasposizione della comunicazione e dello spettacolo è come se fosse attraversato da una forza centrifuga che attraverso la moda tende all’esterno: l’abbigliamento sempre più ridotto suggerisce porzioni di corpo che nella mentalità maschile, suggeriva Lacan, sono pezzi sufficienti a soddisfare la fantasia.
Resta pertanto il dubbio che nella lotta per la libertà, le donne abbiano dimenticato di combattere il ruolo assegnato a molte di loro, quello di animatrici delle pulsioni e dei comportamenti.
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