Articolo pubblicato da “Il Foglio” il giorno 24/11/2323 di Michele Lo Foco
Se c’è un elemento che ha sorretto il nostro cinema negli anni d’oro, quando grandi registi e grandi attori venivano premiati in tutto il mondo è la condivisione del rischio.
Produttori, distributori nazionali, agenti regionali, esercenti, distributori esteri valutavano i prodotti in fase preliminare e davano o non davano il loro appoggio all’iniziativa filmica.
Il distributore nazionale (allora esistevano) presentava ai propri agenti regionali, quasi sempre plurimandatari, talvolta monomandatari, il proprio listino virtuale, composto di progetti con registi ed attori, e di film acquistati, e chiedeva loro di approvare il programma finanziario diviso in percentuali diverse a seconda delle zone. Pertanto il minimo garantito nazionale era composto dalle promesse di pagamento (cambiali) che ogni agente regionale firmava in relazione alla propria quota e che successivamente il distributore nazionale “girava” al produttore che a sua volta le costituiva in pegno alla Sezione Autonoma di Credito Cinematografico della BNL che provvedeva ad erogare i fondi a stato di avanzamento.
Ecco che la piramide finanziaria coinvolgeva tutte le figure del settore, mentre lo Stato si limitava, con il fondo di intervento, a diminuire, per i produttori meritevoli, gli interessi bancari. Questi produttori erano però responsabili del finanziamento bancario, che aveva le caratteristiche del credito ordinario. Perché mai rischiare quando è lo Stato a giocare al buio con le immagini? Nessuno pensa più ad investire: grazie a Veltroni tramite la componente “culturale” e grazie a “Franceschini” tramite il tax credit.
I soldi arrivano dal cielo, vengono promessi prima di girare il film, addirittura quando non servono perché la RAI copre tutta la spesa. Scompaiono i distributori nazionali, gli agenti regionali, le cambiali, i distributori esteri, sostituiti dai burocrati, dispensatori discrezionali di favori, e la creatività nazionale, non più sostenuta dal rischio imprenditoriale, crolla, lasciando spazio agli stranieri che si sono comprati tutto, in particolare i rapporti con RAI ed i benefici del tax credit.
La condivisione serviva a migliorare la qualità e la commerciabilità del prodotto, che doveva portare ricavi ed utili per tutti coloro che partecipavano alla scommessa cinematografica. Senza condivisione, da quando lo Stato è l’unico a perdere, non c’è bisogno di vincere la scommessa, basta giocare. E giocare vuol dire aumentare i costi del prodotto, ingigantire i corrispettivi dei registi, raddoppiare i costi della troupe, vuol dire soprattutto guadagnare in partenza, senza quel rischio imprenditoriale che rappresenta la scommessa del produttore cinematografico. L’unica speranza è che quando il tax credit avrà esaurito il suo ruolo politico e finanziario la redditività di un prodotto tornerà ad essere l’anima del mercato ed il segno di una nuova fase creativa.
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