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Boss mafioso morto perché senza il Green Pass: la realtà supera la fantasia


Salvatore Di Giangi, 80 anni, fedelissimo di Totò Riina condannato a 17 anni di carcere per mafia, è morto la notte tra il 27 ed il 28 novembre, appena dopo essere stato scarcerato dal carcere di Asti per gravissimi motivi di salute... come conseguenza del non avere il Green Pass.


Sembra assurdo, ma l'anziano malvivente dopo la scarcerazione aveva preso un treno per recarsi a casa, dal quale all'altezza di Genova è stato fatto scendere per assenza del lasciapassare verde. Di Giangi, evidentemente poco lucido, aveva deciso di percorrere a piedi l'ultimo tratto tra Genova Principe e Genova Brignole costeggiando i binari a tarda ora: scelta che gli è stata fatale. L'ex boss infatti, forse dopo un malore, cosa che stabilirà l'autopsia a breve, e stato travolto da un convoglio.


La Procura di Genova ha aperto un'inchiesta sul caso ma per ora gli inquirenti escludono assolutamente altre piste sulla sua morte, che non siano da addebitarsi ad una tragica fatalità ma alla volontà di qualcuno.


Ma chi era di Giangi? Storico capomafia, il suo nome era riapparso a ottobre nell'indagine sul resort Torre Macauda, albergo di lusso di Sciacca protagonista di diverse inchieste di mafia e ritenuto di fatto di proprietà del padrino corleonese Totò Riina. Secondo i pm della Dda di Palermo, coordinati dall'aggiunto Paolo Guido, Di Gangi sarebbe stato uno dei veri proprietari della struttura e per questo la Procura recentemente aveva effettuato una perquisizione nella sua cella: infatti secondo gli inquirenti la società che gestisce Torre Macauda, la Libertà Immobiliare, sarebbe di fatto riconducibile al boss Di Gangi e al figlio Alessandro che, attraverso una serie di operazioni illecite, sarebbero tornati in possesso della struttura alberghiera sommersa dai debiti, grazie anche ad imprenditori compiacenti ed alla complicità di un dirigente di banca che avrebbe rilasciato una quietanza per un pagamento di 8 milioni avendone ricevuti solo 4.


Un'indagine molto complessa che aveva portato all'esecuzione di perquisizioni in due filiali della UniCredit di Palermo e alla notifica di otto avvisi di garanzia, tra cui a Di Giangi padre e figlio ed al citato funzionario dell'istituto di credito: ma Salvatore Di Giangi purtroppo per lui non vedrà mai la conclusione legale di questa ultima inchiesta di cui era protagonista.




Di Umberto Baccolo.

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