di Michele Lo Foco
Il “piano nazionale di ripresa e resilienza” è una delle dizioni politiche utilizzate per far capire alla gente che si tratta di un affare di grandi proporzioni e non farne capire i contenuti.
Le parole che la politica talvolta adotta, Welfare, hub, e da ultima “resilienza” sono utilizzate per introdurre nell’ambiente concetti impalpabili, vaghi ma autorevoli destinati ad incartare una serie di provvedimenti di varia natura e di notevole impatto economico.
Cos’è la resilienza, parola usata raramente e certamente cacofonica?
“E’ la capacità di affrontare resistere e riorganizzare in maniera positiva la propria vita dopo eventi particolarmente traumatici.”
Bene, ciò detto, il piano di “resilienza” è un intervento economico europeo teso ad agevolare le nazioni nello sforzo di sistemare aspetti delle loro strutture. Cinecittà è la struttura individuata da Franceschini per indirizzare 300 milioni di euro: dal momento che non aveva altre strutture apprezzabili, gli era sembrata la soluzione proponibile, anche se lo stato dei luoghi dopo la cura Abete era già costata allo Stato decine di milioni di euro.
Pertanto la “resilienza” si è trasformata in un progetto faraonico, sostenuto da giornali e giornalisti, con a capo Gloria Satta, nel quale Cinecittà sarebbe diventata virtualmente lo studios degli studios, Roma caput studios.
La moltiplicazione di terreni e capannoni è diventata un effetto speciale ed a tutti è stata pubblicizzata l’immagine di Maccanico con la spada sguainata e i nemici europei distrutti.
Improvvisamente però la resilienza ha un brivido: il Ministro che se ne occupa comunica che qualcosa non va, le rate non arrivano, l’Europa vuole spiegazioni, il piano italiano è sbagliato. Cinecittà non invade l’Italia con 17 nuovi capannoni, ma ci ripensa, sono la metà e sempre entro il 2026.
Cosa diranno le banche e gli appaltatori, dove finisce il sogno degli studios degli studios? Cinecittà fa una doccia di realismo, e comincia a pensare che forse sarà utile rivedere i conti e dare una calmata alla Satta.
Maccanico rinfodera la spada e pensa alle vacanze, che sono alle porte, tanto Cinecittà è affittata per lo più ad un’azienda straniera, e quella paga.
Ma c’è un ultimo trucco da utilizzare: basta con il nome di Istituto Luce Studios, torniamo a Cinecittà S.p.A., cioè il nome che aveva l’azienda quando io fui nominato consigliere quarant’anni fa.
Da allora le carte sono state rimescolate varie volte e le fusioni si sono succedute per confondere i conti. Prima Ente Cinema S.p.A., poi Cinecittà Studios, poi Cinecittà Luce, poi Luce Cinecittà, poi Istituto Luce Studios e qualcuno lo dimentico. Non sono un indovino ma temo che degli Studios, comunque si chiamino, e del parco a tema, ne sentiremo parlare ancora, e non solo per la resilienza ma per la loro sopravvivenza.
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