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stefano19851

DELLA CONDIVISIONE


di Michele Lo Foco


Se c’è un elemento che ha sorretto il nostro cinema negli anni d’oro, quando grandi registi e grandi attori venivano premiati in tutto il mondo è la condivisione del rischio.

Produttori, distributori nazionali, agenti regionali, esercenti, distributori esteri valutavano i prodotti in fase preliminare e davano o non davano il loro appoggio all’iniziativa filmica.

Il distributore nazionale (allora esistevano) presentava ai propri agenti regionali, quasi sempre plurimandatari, talvolta monomandatari, il proprio listino virtuale, composto di progetti con registi ed attori, e di film acquistati, e chiedeva loro di approvare il programma finanziario diviso in percentuali diverse a seconda delle zone. Pertanto il minimo garantito nazionale era composto dalle promesse di pagamento (cambiali) che ogni agente regionale firmava in relazione alla propria quota e che successivamente il distributore nazionale “girava” al produttore che a sua volta le costituiva in pegno alla Sezione Autonoma di Credito Cinematografico della BNL che provvedeva ad erogare i fondi a stato di avanzamento.

Ecco che la piramide finanziaria coinvolgeva tutte le figure del settore, mentre lo Stato si limitava, con il fondo di intervento, a diminuire, per i produttori meritevoli, gli interessi bancari. Questi produttori erano però responsabili del finanziamento bancario, che aveva le caratteristiche del credito ordinario.

Ovviamente anche allora il sistema non funzionava sempre regolarmente, qualcuno non pagava le cambiali se il film non era accettato dal pubblico, ma tutto il settore era pervaso da questo brivido artigianale che riservava non poche sorprese.

Ai produttori, per i film nazionali finiti ed usciti nelle sale, lo Stato riservava poi i cosiddetti “premi governativi” che erano il 13% dell’incasso sala, una forma di ristorno erariale molto precisa.

Cosa significava condivisione?

Che ognuno dei partecipanti al gioco filmico poteva intervenire nella struttura del prodotto sulla base della propria esperienza: il distributore nazionale pretendeva attori di richiamo, quello estero che ci fossero nomi conosciuti in Europa o nel mondo, gli agenti che il prodotto fosse adatto al territorio. Alcuni si fidavano del distributore se aveva dato prova di intuito. Oggi tutto questo non esiste più: da Veltroni in poi sparisce la condivisione e sale sul podio del rischio lo Stato tramite le sue propaggini, Regioni, Rai, Ministero.

Perché mai rischiare quando è lo Stato a giocare al buio con le immagini? Nessuno pensa più ad investire: grazie a Veltroni tramite la componente “culturale” e grazie a “Franceschini” tramite il tax credit.

I soldi arrivano dal cielo, vengono promessi prima di girare il film, addirittura quando non servono perché la RAI copre tutta la spesa.

Scompaiono i distributori nazionali, gli agenti regionali, le cambiali, i distributori esteri, sostituiti dai burocrati, dispensatori discrezionali di favori, e la creatività nazionale, non più sostenuta dal rischio imprenditoriale, crolla, lasciando spazio agli stranieri che si sono comprati tutto, in particolare i rapporti con RAI ed i benefici del tax credit.

La condivisione serviva a migliorare la qualità e la commerciabilità del prodotto, che doveva portare ricavi ed utili per tutti coloro che partecipavano alla scommessa cinematografica.

Senza condivisione, da quando lo Stato è l’unico a perdere, non c’è bisogno di vincere la scommessa, basta giocare.

Condivisione voleva dire anche collaborazione, ad ognuno il proprio ruolo coerente con il risultato finale.

Per questo motivo un grande uomo di spettacolo, Leo Pescarolo diceva: se mi si presenta un attore che vuole fare il regista o un autore che vuole fare il regista lo caccio via.

Invece oggi tutti vogliono fare i registi, con alle spalle un direttore della fotografia: tutti sono ispirati e hanno una storia nel cassetto e mediamente nessuno conosce bene il mestiere.

Allora perché vengono agevolati?

Il caso classico è quello dell’attrice che tenta di passare alla regia perché immagina di non essere più all’altezza delle scene.

Talvolta è autrice, regista ma anche protagonista del film: non c’è di peggio quando viene meno la fase critica del racconto che è monopolizzato dalla stessa persona. Di solito sia il testo sia la regia che la recitazione sono mediocri, e salta agli occhi, anche a quelli meno tecnici, che dirigere un film non è qualcosa che tutti possono fare.

Non basta aver recitato in un prodotto per comprendere i meccanismi, che sono frutto dell’esperienza diretta con gli obiettivi, dalla macchina da presa, il montaggio, le scenografie, le location, e la regia non può fare a meno di queste nozioni, che si studiano e si sperimentano ma non si inventano.

Ma torniamo alla domanda: perché vengono agevolati?

La risposta sta nella natura del produttore burocrate, che trova nella convenzione, nell’ammirazione, nella sudditanza psicologica la sua ragion d’essere. E’ una motivazione triste, ma nessun produttore indipendente di buon livello consentirebbe ad un attore non eccelso di monopolizzare un prodotto filmico a proprio vantaggio. Oltretutto è fatto noto agli operatori del settore che il pubblico guarda con diffidenza a queste performance, intuendo che c’è una invasione di campo da parte di qualche attore e che i risultati non possono che essere negativi, o quantomeno modesti. Uno storico distributore dell’epoca d’oro del cinema, arrivava addirittura a catalogare i registi, distinguendoli tra quelli con un pessimo carattere, che lui considerava i migliori, e quelli concilianti, che realizzavano film di nessun impatto. In effetti Ferreri, Brass, Fellini ed altri, padroni assoluti della macchina da presa e del montaggio, caratterizzavano i loro prodotti in maniera totale ed originale; talvolta, è il caso di Fellini, facevano fallire il produttore ma costruivano capolavori indimenticabili.

Detto diversamente, il cinema è un’attività seria, non è un giocherello per gente animata da velleità artistiche, e quando il tax credit avrà esaurito il suo ruolo politico la redditività di un prodotto tornerà ad essere l’anima del mercato ed il segno di una nuova fase creativa.

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