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Enzo Carra: "Gli schiavettoni? Le istituzioni non c'erano e neppure un limite"

Intervista esclusiva di Antonello Sette (SprayNews) a Enzo Carra, politico e giornalista, già tesoriere della Democrazia Cristiana





Enzo Carra, il 4 marzo del 1993 io ero di fronte a lei, mentre al Tribunale di Milano la conducevano in udienza, con gli schiavettoni ai polsi. Che cosa le è rimasto dentro di quel momento?

Di quel momento mi è rimasto un grandissimo vuoto. Non un vuoto esistenziale, perché da questo punto di vistaquel momento credo di averlo superato bene, ringraziando Dio, ma il vuoto della vita intorno a me. Il vuoto delle istituzioni. Il vuoto di quello che si voleva da me. Come si poteva pensare che, tenendomi in carcere e sottoponendomi a un’umiliazione pubblica, la più straziante per chi la subisce, per la sua famiglia e per i suoi amici e per tutta la sua vita, ne sarebbe potuto uscire qualcosa di buono?

Presumo che si aspettassero che facesse dei nomi…

Mi domando ancora che cosa sarebbe accaduto se io, pur di togliermi di dosso gli schiavettoni, avessi cominciato a parlare di quello che si poteva supporre io sapessi. Io, fino a qualche tempo prima, avevo avuto -un ruolo. La Democrazia Cristiana era già in fortissima crisi. Il segretario Arnaldo Forlani ed io ci eravamo dimessi alla fine del ’92 ed eravamo già arrivati al mese di marzo del ’93 ma, dal momento che venivo considerato quello che non ero, ovvero un testimone credibile, avrebbero preso per oro colato qualunque cosa, qualunque accusa, qualsiasi sfizio mi fossi voluto prendere. Contro il giornalaio sotto casa o contro un mio collega, che mi aveva fatto un dispetto o indebitamente scavalcato in qualche passata circostanza. O, magari, contro qualche mio ex direttore di giornale o contro qualche politico che non mi aveva voluto ascoltare. Avevo un’ampia scelta. Potevo rimanere alcuni giorni in tranquillità semplicemente dicendo loro “Un attimo, fatemici pensare e vi darò una lista delle cose che so”. Sarebbero state tutte credibili, senza neppure la necessità di un minimo riscontro. Così, come sarebbe stato credibile, se avessi detto quello che non sapevo sul caso Enimont, cioè come e a chi della Democrazia Cristiana fosse stata trasmessa la famosa madre di tutte le tangenti.

Qualcosa che lei non sapeva e non poteva sapere…

Non potevo sapere nulla, perché esulava totalmente dal mio ruolo. Del resto, quando, dopo quella passeggiata con gli schiavettoni nei corridoi del Tribunale di Milano, è finalmente cominciato il processo, il pubblico ministero, che era Piercamillo Davigo, durante la sua requisitoria contro dime, escluse nella maniera più assoluta che io fossi in qualche modo impigliato nel giro delle tangenti e, soprattutto, in quella dell’Enimont. Dovette ammettere che non sospettavano di me, come possibile trafficante di tangenti. Ero un osservatore esterno, credibilissimo al punto che avrei potuto trascinare nei guai chiunque mi fosse venuto meglio.

A trenta anni di distanza dalla gogna che subì, vergognosa solo per chi ebbe lo stomaco per ordinarla, mi può spiegare che cosa è stata Tangentopoli?

L’inizio di uno stato di eccezionalità, che sta continuando ancora oggi. E’ stata l’apertura di uno stato di eccezione che, in modi diversi e con sacrifici e pesi diversi per gli italiani, va avanti da allora. Uno stato di eccezionalità, che era macroscopico al punto che neppure chi, come me, c’è finito dentro, non aveva neppure capito che ormai si pensava fosse tutto diventato lecito. Io so di essere andato a Milano senza minimamente capire a che cosa sarei andato incontro. Avrei avuto mille modi per accampare scuse e rigettare quello che era un semplice invito. Non ero imputato e neppure sospettato di nulla. Non avevo ancora capito l’aria del tempo. Poi, il tempo è trascorso, ma ci sono anche oggi altri generi di eccezionalità, dai tecnici al Governo ai Presidenti che vengono rieletti per la seconda volta magari in futuro non ci si fermerà neppure al secondo mandato. Potremo via via stabilire, come se fosse la cosa più normale, altri record mondiali di eccezionalità.

Le denunce sulle maefatte della giustizia italiana dell’ex Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Luca Palamara, comprese quelle contenute nel suo secondo libro “Lobby e Logge”, possono essere utili?

Qualcuno può pensare che le sue denunce arrivano troppo tardi. Certo è che Palamara conosce bene l’ambiente e le cose di cui parla. Le sue accuse circostanziate possono, quindi, essere considerate più che credibili.

di Antonello Sette





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