Alcuni amici di Giancarlo Pittelli, avvocato calabrese ed ex parlamentare di Forza Italia, di 69 anni, incensurato, da 28 mesi privato della libertà personale senza alcuna sentenza di condanna, hanno preso l’iniziativa di indirizzare una lettera aperta al Ministro della Giustizia, Marta Cartabia e inviare per conoscenza al PG della Cassazione e al Vicepresidente del CSM. Nella lettera di chiede al Ministro di prestare la Sua attenzione alla conduzione del “caso Pittelli”, e ad alcune preoccupanti circostanze che in esso si sono verificate, che sembrano vanificare il diritto alla presunzione di innocenza e il principio dell’ habeas corpus. I firmatari chiedono al Ministro di considerare la vicenda oggi e non “quando ogni sforzo sarà reso inutile da un drammatico fatto compiuto”.Alcuni amici di Giancarlo Pittelli, avvocato calabrese ed ex parlamentare di Forza Italia, di 69 anni, incensurato, da 28 mesi privato della libertà personale senza alcuna sentenza di condanna, hanno preso l’iniziativa di indirizzare una lettera aperta al Ministro della Giustizia, Marta Cartabia e inviare per conoscenza al PG della Cassazione e al Vicepresidente del CSM. Nella lettera di chiede al Ministro di prestare la Sua attenzione alla conduzione del “caso Pittelli”, e ad alcune preoccupanti circostanze che in esso si sono verificate, che sembrano vanificare il diritto alla presunzione di innocenza e il principio dell’ habeas corpus. I firmatari chiedono al Ministro di considerare la vicenda oggi e non “quando ogni sforzo sarà reso inutile da un drammatico fatto compiuto”.
Di seguito il testo della lettera inviato oggi per raccomandata:
Al Ministro della Giustizia Prof.ssa Marta Cartabia, e p. c. – al Procuratore Generale della Corte di Cassazione dott. Giovanni Salvi – al Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura avv. Davide Ermin
Siamo comuni cittadini, amici dell’Avvocato Giancarlo Pittelli che, come Lei sa, è legittimamente oggetto – da oltre due anni – di due distinte inchieste penali. Abbiamo pubblicamente manifestato nello scorso mese di gennaio i nostri sentimenti di affetto e di stima verso questo professionista e uomo pubblico, allo scopo di rispondere al linciaggio mediatico prima che alcun processo sia concluso e alcuna sentenza sia stata emessa, secondo un costume barbaro che ormai si è tristemente radicato nel nostro Paese. Abbiamo raccolto in pochi giorni oltre 2.500 firme che testimoniano che almeno una fetta di opinione pubblica conserva la volontà di appartenere a una comunità retta dal diritto e dai valori costituzionali. Ma i nostri sforzi purtroppo non bastano a scongiurare un altro rischio: che – dietro lo schermo della legalità – si consumi un’opera di annientamento morale e fisico di una persona, probabilmente innocente e comunque tale – ad oggi – secondo un principio aureo che occorrerebbe sempre ribadire, se non altro per evitare che di esso i cittadini italiani finiscano per perdere la memoria. Illustre Ministro, quello di presunzione di innocenza è un valore di civiltà che andrebbe instillato sin dall’educazione scolastica. Senza una meditazione costante su di esso e senza una sua continua riaffermazione, non solo l’amministrazione della giustizia ma la vita sociale stessa si corrompe. Invece, nel “caso Pittelli” una serie di episodi si connettono fra di loro attraverso un filo comune che – temiamo – sia proprio la relativizzazione, lo svuotamento, l’obliterazione di questo principio. Il giorno successivo al clamoroso arresto di Giancarlo Pittelli (19 dicembre 2019, inchiesta Rinascita Scott), un magistrato della Repubblica, il titolare stesso delle indagini, definiva in una conferenza stampa l’accusato, un cittadino incensurato e molto noto – senza neanche ricorrere a una formula ipotetica – “anello di congiunzione fra mafia e massoneria”, drammatizzando oltre ogni misura un’inchiesta appena ai suoi esordi.
Temiamo che questo comportamento originario abbia dato il “la” ad una catena eccezionale di eventi, di cui citiamo – in questo scritto necessariamente breve – solo i termini più generali. E temiamo, ipotesi ancora più inquietante, che tale drammatizzazione originaria finisca ancora oggi per condizionare i comportamenti e le scelte di tanti soggetti chiamati a intervenire nel processo. Dal dicembre 2019 ad oggi Giancarlo Pittelli non ha più riacquistato la libertà, in un alternarsi incredibile tra arresti domiciliari e detenzione, in ben tre supercarceri. Da ultimo, la Procura ha proposto appello contro un’attenuazione della misura cautelare che era stata deliberata lo scorso 9 febbraio, quando Giancarlo Pittelli nel Supercarcere di Melfi era giunto allo stremo delle forze per un disperato sciopero della fame. Nei motivi di appello sono stati allegati (fra le altre cose) due atti di sindacato ispettivo, nonché articoli di un quotidiano (il Riformista) e alcuni post su Facebook di un parlamentare della Repubblica (On. Vittorio Sgarbi).
Siamo convinti che il succedersi e la natura di questi atti abbiano ingenerato allarme e confusione in una opinione pubblica sempre più perplessa, indotta a confondere concetti fra loro ben distinti e separati quali il sacrosanto diritto di ciascuno di difendere le proprie ragioni, in ogni sede, l’esercizio – da parte di parlamentari e giornalisti – dei propri diritti/doveri e una fantomatica “volontà di influire sul processo”, mai suffragata dall’ombra di un indizio. Di questa grave e pericolosa confusione – lesiva al tempo stesso di principi di civiltà giuridica, di libertà e di sovranità popolare – esiste, purtroppo, più di una traccia in numerosi atti giudiziari di questo processo ormai esemplare. Ma questi richiami sommari servono solo da premessa all’oggetto principale di questa lettera: la segnalazione di due recenti episodi, meritevoli – a nostro parere – di una Sua considerazione. Il primo attiene alla fissazione dell’udienza per l’appello proposto dalla Procura contro l’ordinanza di attenuazione della misura cautelare. Come denunciato dalla Camera Penale di Catanzaro, tale ricorso ha ottenuto una incredibile “corsia preferenziale”: “il decreto di fissazione dell’udienza risulta emesso eccezionalmente nei 10 (dieci) giorni dal deposito dell’appello e la relativa trattazione fissata insolitamente nei 20 (venti) giorni successivi”, laddove gli appelli cautelari presentati dai difensori risultano – in quel Distretto giudiziario – mediamente pendenti per sei mesi. Questa allarmante segnalazione – contenuta in una lettera formalmente inviata il 24 febbraio, a nome di tutti i penalisti del distretto di Catanzaro, al Presidente del Riesame, dott. Filippo Aragona e p.c. al Presidente del tribunale, dott. Rodolfo Palermo – si concludeva con una richiesta di “cortese, quanto necessario riscontro”. Riscontro che non risulta essere mai pervenuto. Per completezza di informazione, l’appello è stato prontamente accolto. Il secondo episodio che vorremmo segnalarLe, Signor Ministro, è relativo non alla vicenda cautelare principale ma ad una istanza di scarcerazione, pertanto un procedimento incidentale, proposta dalla difesa dell’avvocato Giancarlo Pittelli dinanzi al Tribunale di Vibo in data 10 aprile 2022. Ovviamente, non entriamo nel merito – né Le chiediamo di entrare nel merito – di tale istanza e delle sue motivazioni, la quale istana, come previsto da alcuni, è stata puntualmente e prontamente rigettata. Segnaliamo invece il nostro fortissimo disagio – non come amici ma, prima ancora, come semplici cittadini – convinti ancora di vivere in uno stato “di diritto” , nel constatare che con due secche pagine il tribunale di Vibo ha respinto, in data 14 aprile 2022, una istanza di scarcerazione – della quale una significativa parte, corredata di appositi allegati, riguardava le condizioni di salute dell’imputato – senza che una sola parola venisse dedicata dall’estensore dell’ordinanza a tale punto e cioè alla idoneità o meno della custodia cautelare ai fini dei trattamenti sanitari ritenuti necessari dai medici firmatari delle perizie. Non sappiamo se tale omissione sia dovuta a semplice negligenza o – peggio – alla implicita convinzione che non sia meritevole di alcuna considerazione lo stato di salute di un uomo sulla soglia dei settant’anni, incensurato, privato da oltre due anni e quatto mesi della libertà e sottoposto ad una vicenda processuale giocata, sin dalle sue prime battute, in termini parossistici e di mobilitazione mediatica. Ci domandiamo con preoccupazione, se la compressione dei diritti di un cittadino sottoposto a procedimento penale e ristretto, possa arrivare fino al punto che un Tribunale della Repubblica possa non citare neanche – sia pure per respingerla – una sua richiesta di considerazione dello stato di salute, suffragata da perizie. Ci domandiamo, con sgomento, se la obliterazione del principio di presunzione di innocenza e dello stesso habeas corpus possano arrivare a tali eccessi e se, anche nel “caso Pittelli”, i cittadini dovranno attendere una sentenza di assoluzione, come ormai troppo spesso accade, per conoscere la reale consistenza di accuse che – nel frattempo – avranno annientato psicologicamente, moralmente, fisicamente, economicamente, un uomo e definitivamente distrutto il tessuto di relazioni nel quale egli è vissuto. Ci domandiamo e Le domandiamo se non vi sia un modo, rigoroso ma non parossistico, di condurre l’azione giudiziaria, se non ci sia un modo per evitare che la parola alta e forte della Giustizia giunga solo a corollario beffardo di un tale panorama di macerie. Le domandiamo se il “caso Pittelli” non sia meritevole della Sua attenzione, oggi e non quando ogni sforzo sarà reso inutile da un drammatico fatto compiuto.
di RomaLife Redazione
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