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Immagine del redattoreEdoardo Sirignano

Il pioniere del web Grauso: «Bene Palamara, ma il sistema che ha ucciso Lombardini è ancora forte»


Nicola Grauso, imprenditore ed editore italiano, noto per essere stato tra i pionieri del web, in un’intervista esclusiva rilasciata a Spraynews, interviene sulla trattativa Stato-mafia e sui temi della giustizia, a partire dal caso Palamara.


Trattativa Stato-mafia, il capitano De Donno e il generale Mori rischiano 12 e 8 anni di carcere. Che idea si è fatto sulla vicenda?


«E’ un qualcosa di assurdo. Pur essendo il discorso molto più lungo e articolato e certamente non da sviluppare in pochi minuti, posso dire che le relazioni Stato-mafia esistevamo molto più intense anche prima di quell’episodio e che non si possono attribuire certamente a quegli uomini accuse di questo tipo».


Considerando la sua lunga esperienza da editore, come ritiene che i media oggi stiano affrontando il caso?


«Lo fanno come sono abituati a trattare i temi scandalistici qualsiasi, ovvero valutando l’opportunità di presentare anche fatti non veri pur di vendere copie o aumentare il proprio audience».


Non le sembra un controsenso, però, che si parli di galera per chi ha combattuto Riina e poi sia in libertà Brusca?


«E’ più di un controsenso. Sembra di essere alla follia».


A proposito di giustizia, oggi si discute di riforma. Quanto servirà?


«Tanto anche se non sarà facile realizzarla. La società, infatti, ha bisogno di spazzini purtroppo. Sarebbe bello, comunque, già fare un salto in avanti, introducendo dei sistemi di intelligenza artificiale nella gestione della giustizia. Sono tematiche, però, troppo complesse, sia per i politici che per i magistrati. Entrambi, quindi, non si impegnano neanche a capirle in questo particolare momento».


Il referendum proposto da Lega e Radicali può essere la soluzione?


«Può essere un contributo, ma sicuramente non è sufficiente a risolvere i tanti problemi».


Anche lei in passato diverse volte non si è trovato d’accordo con la magistratura. Condivide la battaglia che in questi giorni sta portando avanti Palamara?


«Assolutamente sì! Non ha fatto altro che dire quanto si sapeva da tempo. Che c'è sempre stato un concerto tra politica e magistratura nell’identificazione dei ruoli. Ciò non è assolutamente una novità e tra l’altro non è neanche giusto, quello a cui mi è capitato di assistere, essendo amico del povero giudice Lombardini, a dinamiche, meccanismi per cui veniva scelto per un certo ufficio non il magistrato più bravo, ma quello più adatto. Devo dire, quindi, che il sistema di Palamara, in un certo senso, è più sano rispetto a quelli che ho avuto modo di conoscere. Ogni volta che per Lombardini, infatti, si apriva una opportunità veniva fatta una denuncia al Csm, aperto un procedimento disciplinare a suo carico, in modo che non avesse più il tempo per partecipare a quell’Ufficio. Dopodiché veniva chiuso un procedimento infondato, ma così Lombardini aveva perso prima la Procura di Milano, poi quella di Palermo e infine stava perdendo anche quella di Cagliari, fino a quando si è suicidato. Questi sono sistemi veramente malati».


Battaglia per la separazione delle carriere, ad eccezione di Pd e M5s, i partiti in piazza coi penalisti...


«Ritengo che stia cambiando qualcosa. Grazie all’effetto boomerang del caso Palamara, si è accelerato sulla riforma della magistratura, si è riaperto il discorso sulla separazione delle carriere. Sono contento di ciò perché, pur non avendo beneficiato dei rapporti con la magistratura, ho sempre cercato di sostenere ciò che ritenevo giusto».


Di Edoardo Sirignano

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