di Michele Lo Foco
L’intervento come sempre tardivo dell’AGCOM ha finalmente messo in risalto quello che personalmente da anni dichiaro, denuncio, spiego (e che mi ha posto all’indice durante l’impero Franceschini) e cioè che la legge sul tax credit, inoculata nella definizione di produttore indipendente, ha ottenuto l’effetto contrario a quello che avrebbe dovuto ottenere.
Dice l’AGCOM testualmente:
con riferimento al tax credit, il cui intento originale era volto a sostenere le piccole imprese nazionali di produzione audiovisiva, si porta all’attenzione la problematica relativa alla dimensione internazionale dei principali destinatari attuali di tale misura che comporta un rischio di discostamento rispetto ai principi e obiettivi alla base del regime di agevolazione
Detto diversamente il tax credit è servito ai piccoli e medi imprenditori ad arrabattarsi per produrre lungometraggi modesti, ed ai produttori internazionali e strutturati a sbancare lo Stato Italiano approfittando della mancanza di controlli.
Ho sempre pensato che il sistema Franceschini, che ha ridotto la qualità del prodotto nazionale ed è servita esclusivamente a rafforzare le piattaforme e Cinecittà, prima o poi avrebbe deflagrato, ma speravo che non fosse l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni a dare l’allarme, ma, come avrebbe dovuto, Anica, o qualche sindacato. Invece le associazioni, salvo ANAC e CNA, sono diventate complici del sistema, ed hanno favorito la verticizzazione delle prebende statali, che con l’estensione ai prodotti televisivi, hanno raggiunto l’apice del risultato.
Dove AGCOM sbaglia è quando ragiona sulla definizione di produttore indipendente: se infatti è vero (ed è realmente un elemento truffaldino) che è considerato produttore indipendente quello che ha un fatturato, realizzato con la stessa azienda, non superiore al 90%, e pertanto sono tutti indipendenti, è altrettanto vero che non è giusto eliminare il concetto di produttore indipendente, ma va riformulato restringendo la percentuale al 50%.
Pertanto è un produttore indipendente colui che presenta un fatturato nel quale il lavoro con la medesima azienda non superi il 50% dell’intero, e dimostri che l’altro 50% dipende da lavori con altri operatori del settore.
Riducendo il numero dei produttori indipendenti a quello vero, senza inserirvi major o grandi gruppi strutturati, tutto il sostegno statale può essere finalmente indirizzato, come dovrebbe, a quella specifica parte del settore che ha realmente bisogno di assistenza, e non ad incrementare potentati e speculatori che in questi anni di Franceschinismo hanno avuto modo di operare ai danni dello Stato.
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