Il titolo di questo articolo potrà risultare giustamente pesante, far alzare gli occhi al cielo di chi non vuol più sentire parlare solo ed esclusivamente di contagi, vaccini, morti e città bombardate. Ma purtroppo la situazione è questa, e nascondere la testa sotto la sabbia, non volendosi più informare o quantomeno cercare di capire e farsi un’opinione a riguardo è una decisione poco utile e sicuramente discutibile.
È facile constatare come la comunicazione e l’informazione si stiano muovendo a riguardo: i Tg e i quotidiani hanno sostituito i servizi sulla pandemia con quelli sulla guerra (quella vera) e i virologi hanno ormai lasciato le poltrone dei salotti televisivi per far posto ai politologi. La stessa conferenza di Draghi e Speranza, in cui annunciavano l’ultimo DPCM, è stata in realtà un’occasione per porre al premier mille domande sul conflitto russo-ucraino.
Ma l’ultimo grande colpo di coda della comunicazione italiana riguardo l’emergenza da Covid-19 è stato sul decreto riaperture, in ritardo a causa dello scoppio del conflitto in Ucraina. “Da aprile ci avvicineremo davvero ad un ritorno alla normalità”: quante volte lo abbiamo sentito? quante volte siamo andati a cercare di capire cosa cambierà davvero: green pass sì, no, a metà, 1,2,3 o 4 dosi?
Ad oggi, purtroppo basta mettersi seduti e leggere nel dettaglio il decreto per rendersi conto che forse il clamore mediatico che lo ha accompagnato è in realtà sproporzionato rispetto a quanto effettivamente ha previsto il Governo: le misure si concentrano di fatto su quando sarà possibile accedere ai servizi, prima all’aperto e poi anche al chiuso, senza l’obbligo di greenpass.
Il paradosso dei paradossi insomma, l’allentamento riguarderà solo quella fascia di popolazione che così violentemente si era schierata contro le istituzioni decidendo di non vaccinarsi. Invece di normalizzare lo stato di positività ed equiparare il virus ad un’influenza, come fatto nel resto dell’Europa, si è preferito dimenticarsi della pandemia e delle critiche (e delle scelte politiche sbagliate...) ad essa legate.
E così il settore comunicativo, sia istituzionale che giornalistico ha voltato pagina, puntando i fari sul dramma ucraino. La pandemia non occupa più i titoli dei giornali. La comunicazione bellicosa che per due anni ha dominato la scena, viene ricicciata fuori per raccontare il conflitto messo in piedi da Putin. Effettivamente il racconto del dolore, del pericolo, fa sempre più audience, di un servizio o di un articolo che riporta i fatti senza sensazionalismi e note scandalistiche di basso livello.
di Sofia Astrologo
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