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Immagine del redattoreEdoardo Sirignano

Lavoro da remoto, La Rocca: «Non è sfruttamento, ma maggiore flessibilità della vita»



Daniele La Rocca, fondatore di La Rocca Associati spa, team giovane, ma tra i più apprezzati per quanto riguarda la consulenza del lavoro, in un’intervista esclusiva rilasciata a Spraynews, parla dei cambiamenti legati allo smart working e di come l'Italia non sia più indietro rispetto al resto del pianeta, contrariamente a quanto affermato spesso sui principali canali di comunicazione.


Come nasce la passione per la sua professione?


«Ho iniziato abbastanza giovane. Ero già abilitato all’esercizio della professione a 23 anni. La materia della consulenza del lavoro mi ha appassionato sin da subito. Posso dire che è stata una vera e propria vocazione per ciò, che avevo affrontato durante gli studi».


Al momento segue importanti società…


«Non mi piace citare i nomi dei miei clienti, ma posso affermare con orgoglio che ne abbiamo di davvero importanti in tutta Italia e non solo. La nostra società, infatti, tratta aziende perlopiù grandi e grandissime. Questa è la nostra specialità».


Qual è la sua idea per il futuro del mondo del lavoro?


«La visione post-emergenziale ci porterà certamente verso soluzioni ibride, quali ad esempio le nuove modalità di lavoro per il terziario avanzato».


In tal senso, sono stati fatti passi in avanti rispetto al recente passato?


«Già la normativa sul lavoro agile, nel 2017, quando era stata emanata, possiamo dire che era innovativa. Ora sta solo alla contrattazione collettiva farci fare il balzo di qualità. In modo particolare le parti sociali devono trovarne la giusta applicazione all’interno dei singoli settori, forti dell’esperienza del lockdown. Nell’ultimo anno c’è stata una vera e propria sperimentazione forzata. Milioni di persone, senza accorgersene, si sono avvicinate al lavoro a distanza. Il fatto che tutt’ora ci sono molte realtà i cui dipendenti operano da casa certamente cambia lo scenario. Le associazioni di categoria e i sindacati dovranno trovare le giuste soluzioni per una migliore applicazione di quella che è la normativa vigente».


Non teme, però, che lo smart-working possa far perdere posti di lavoro?


«Assolutamente no, in quanto rappresenta un cambio di modalità di lavoro, che apre a scenari di flessibilità. Non dobbiamo pensare a un moderno sfruttamento, ma piuttosto a una maggiore flessibilità della vita. Il lavoro da remoto oltre ad agevolare chi ha difficoltà nella mobilità, permette a tanti di contemperare maggiormente le esigenze di vita e professionali. Pensiamo, ad esempio, a chi ha la necessità di accudire i familiari. Può sfruttare quell’ora che avrebbe perso nel traffico per assistere i suoi cari».


Le istituzioni, quindi, come possono migliorare quanto intrapreso ai tempi del Covid?


«Al posto di attendere che il legislatore faccia qualcosa, sono le parti sociali che devono essere protagoniste. Mentre i tempi per fare una legge sono spesso lunghi, la contrattazione collettiva può incidere immediatamente sulle necessità di ogni singolo settore. Le aziende più grandi già lo fanno con la contrattazione di secondo livello. Per le piccole, invece, occorre uno sforzo delle parti sociali».


Siamo al passo con gli altri Paesi?


«In un certo senso, ritengo che siamo più avanti. La nostra normativa parla di diritto alla disconnessione molto prima di altri paesi dell’Ue. Da tempo mi soffermo sulla teoria della porosità del tempo, secondo cui tra tempi di lavoro e vita privata esiste un confine che le nuove tecnologie rendono labile. L’orario di lavoro spesso viene contaminato da attività legate alla vita privata, e viceversa. Il lavoratore in passato quando usciva dalla fabbrica abbandonava realmente il posto di lavoro, oggi ciò spesso non accade, soprattutto ai lavoratori del terziario avanzato, perché spesso il lavoro passa anche da un’email che riceviamo sul cellulare o un messaggio whatsapp. Possiamo dire che nel terzo millennio siamo più simili all’artigiano di bottega rinascimentale, il quale viveva nella sua abitazione in cui realizzava i suoi manufatti e meno a quello del novecento, della rivoluzione industriale, che una volta uscito dalla fabbrica non portava con se il lavoro a contaminare i tempi di vita. La velocità del web, della tecnologia e del cambiamento ci portano a lavorare ovunque e in qualsiasi momento».


Serve, quindi, una regolamentazione?


«Ogni volta che il legislatore cerca di regolamentare qualcosa, nella maggior parte dei casi toglie flessibilità. Serve una regolamentazione che parta dal basso e non dall’alto. Deve esserci un cambio culturale sia per l’azienda che per il suo dipendente. Ci sono interessanti esperienze di attuazione del diritto alla disconnessione, che preservano il tempo di vita del dipendente, ad esempio con il blocco della posta elettronica o l’accesso ai server in determinati orari, impedendo al dipendente di lavorare anche quando ha la possibilità di farlo. La sfida è questa. Solo così la flessibilità può trasformarsi in opportunità».


Cambiando argomento, tante sono le realtà che hanno sofferto per le chiusure forzate. Come aiutarle? Bastano i ristori?


«Le misure del Governo sono state sicuramente d’aiuto. Molto dipenderà, però, da come verranno spese le risorse del Recovery Plan. E’ indispensabile aiutare chi realmente ne ha più necessità».


Le piccole imprese possono essere trattate, in termini di aiuti, come le grandi?


«Ci sono realtà che hanno avuto maggiori problemi di altre, così come ci sono settori che oggettivamente sono stati penalizzati. Basti pensare ai ristoranti che non hanno spazi all’aperto o alla capitale, dove se mancano i turisti, certamente non si possono realizzare gli stessi affari».


Per un consulente del lavoro del suo livello quali sono state le maggiori richieste?


«Il primo mese di pandemia non lo dimenticherò mai. Abbiamo lavorato sette giorni su sette perché i nostri clienti non erano, come tutti noi preparati e i decreti, che arrivavano spesso di venerdì o sabato, ci portavano a studiare e pianificare anche nel weekend. E’ stata una prova enorme».


Quali erano le domande più frequenti da parte dei clienti?


«La gestione degli ammortizzatori sociali sicuramente è stato l’argomento maggiormente affrontato».


Edoardo Sirignano

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