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Lo scandalo Itapemirim e il ‘capitalismo di protezione’ brasiliano


La storia della compagnia di autobus Itapemirim, recentemente balzata agli onori della cronaca a causa di una oscura vicenda riguardante il suo impegno nel settore aereo e una strana operazione finanziaria a base di criptovalute, è la perfetta parabola dell’intreccio di interessi, che, sin dai tempi di Getúlio Vargas, lega interessi economici e politici in Brasile. Volendo un po’ giocare con i concetti, lo si potrebbe definire un capitalismo di relazione sfociato in un capitalismo di protezione, indipendentemente da chi, volta a volta, possa trovarsi al potere.


Una plasticità intrinseca ai vari attori economici brasiliani, che, spesso, trasfigura nel più cinico realismo politico all’insegna del vecchio adagio in base al quale ‘gli affari sono affari’. Fu così, a suo tempo, per la Rede Globo della famiglia Marinho, passata, senza colpo ferire, dalla dittatura alla ridemocratizzazione, come pure per la Odebrecht, la quale si beneficiò delle scelte protezioniste in tema di infrastrutture imposte al Brasile dai militari al potere nei primi anni ’70 per poi svilupparsi, sempre beneficiandosi di quel capitalismo di protezione di cui sopra, su scala internazionale con una leadership indiscussa in America Latina. Questo, almeno, prima della Lava Jato, ma questa è un’altra storia.


Non troppo differente, sebbene di più contenute proporzioni, è la storia della Itapemirim, sorta quasi al termine della lunga avventura di Vargas al potere e figlia di quel sogno di autonomia energetica, lungamente inseguito dall’ultimo Governo di Getúlio, in sinergia con Tancredo Neves, che culminerà nella creazione della Petrobras il 3 ottobre 1953 per mezzo della Legge 2.004. All’epoca, l’imprenditore Camilo Cola, già proprietario della ETA (Impresa Automobilistica di Trasporti), in virtù delle politiche petrolifere portate avanti da Vargas, decise che era arrivato il momento di entrare nell’allora carente mercato del trasporto pubblico a lunga percorrenza, fondando, il 4 luglio del 1953, la Viação Itapemirim Ltda.


Inizialmente, l’impresa, che contava appena settanta funzionari e sedici autobus, viaggiava solo all’interno dello Espírito Santo, lo Stato della famiglia del suo fondatore. Favorita da un Paese ancora alle prese con ritardi strutturali notevoli, la Itapemirim riuscì a consolidarsi nel mercato del trasporto passeggeri su strada nel corso degli anni ’60 per poi espandersi - durante il decennio successivo, nel periodo del cosiddetto miracolo economico brasiliano, anche in virtù dei buoni uffici con i militari al potere - verso il sud del Paese e verso nuovi segmenti di mercato, in primo luogo il turismo. Durante questa epoca, l’abile Camilo Cola poneva le basi perla successiva trasformazione della Itapemirim nel Gruppo Itapemirim, un conglomerato di imprese attive in vari settori industriali.


Nuove possibilità di sviluppo sorsero dopo la fine della Dittatura Militare e il processo della ridemocratizzazione, che coincise con una grande euforia sotto il profilo economico e una vertiginosa crescita del trasporto su gomma dei passeggeri. Nonostante le vacche grasse degli anni ’90, il successivo decennio avrebbe coinciso con una fase di sensibile declino del Gruppo Itapemirim, nella fattispecie dell’ammiraglia del gruppo: la Viação Itapemirim.


In particolare, a partire dal 2005, al crescere della concorrenza, la compagnia fondata da Camilo Cola ha progressivamente visto erosi i suoi spazi di mercato, a vantaggio di competitor agguerriti come l’azienda rivale Gontijo. Uno stato di cose peggiorato, dal 2008, a causa di dispute intestine intorno all’eredità della famiglia Cola, un indebitamento di duecento milioni di reais, il conseguente ridimensionamento e da ultimo una serie infinite di peripezie giudiziarie, che culminarono con la cessione nel 2016, al valore simbolico di 1 R$ (real brasiliano), del gruppo industriale, già in amministrazione controllata, dalla famiglia Cola, la quale ancora oggi rivendica diritti su alcune linee locali appartenenti alla Viação Itapemirim, all’imprenditore Sidnei Piva de Jesus.


Da qui, il nostro breve excursus storico-economico può passare a considerare il filo degli eventi degli ultimi giorni, che hanno visto, come scritto in precedenza, l’attuale proprietario della Itapemirim al centro di polemiche per una serie di investimenti sospetti, a partire dalla neonata compagnia aerea ITA, stipendi non pagati e relative vertenze, oltre all’apertura di una società nel Regno Unito. Il tutto condito da quell’immancabile capitalismo di protezione, che sembra essere una sorta di marchio di fabbrica per ogni fregatura, che passi per i vasi comunicanti tra mondo dell’economia e universo politico da sempre attivi in Brasile. Ma andiamo con calma.


Il giorno 17 dicembre, attraverso un comunicato emanato dalla direzione del Gruppo Itapemirim, veniva comunicato che a partire da quel giorno la ITA, acronimo di Itapemirim Trasporto Aereo, avrebbe provvisoriamente sospeso tutti i propri voli. Il ramo aereo, che soltanto alla fine di aprile di questo anno aveva ricevuto il permesso dell’ANAC per poter volare, a distanza di pochi mesi, dunque, annullava tutti i propri voli. Poche ore dopo, la stessa Agenzia Nazionale per l’Aviazione Civile sospendeva il certificato di vettore aereo alla ITA, barrando definitivamente le pur residue speranze di vacanze estive di migliaia di brasiliani.


L’ingresso della Itapemirim nel traffico aereo è stato, in realtà, un ritorno, avendoci già provato, la precedente proprietà, negli anni ’90, con una piccola flotta di aerei cargo, ma anche in quel caso il progetto imprenditoriale ebbe vita breve. Il nuovo tentativo compiuto da Sidnei Piva, fin da subito, ossia intorno alla metà del 2020, era apparso nebuloso e del tutto in controtendenza con le difficoltà, che in quel periodo passavano tanto le imprese di trasporto passeggeri su gomma che quelle aeree a causa della pandemia.


Un altro elemento, che generava perplessità, era il fatto che Piva stava creando la compagnia aerea ITA, mentre il Gruppo Itapemirim si trovava in amministrazione controllata dal 2016. Come menzionato dal giornale Valor Econômico, secondo la relazione pubblicata nel settembre di quest’anno dalla EXM Partners, il gruppo industriale facente capo a Sidnei Piva aveva debiti, solo in ambito tributario, che raggiungevano la stratosferica cifra di 2,2 miliardi di reais, mentre l’indebitamento soggetto a recupero giudiziario arrivava a 253 milioni di reais.


Poco dopo l’avvio del processo, che avrebbe condotto alla fondazione della compagnia aerea ITA, a luglio, alcuni obbligazionisti dell’impresa principale del gruppo, la Viação Itapemirim, presentarono una petizione, chiedendo le dimissioni dei vertici per non star ottemperando agli impegni di pagamento previsti dal piano di salvataggio. Il timore, che si era sparso tra gli obbligazionisti, era che l’intero Gruppo Itapemirim potesse dichiarare fallimento a stretto giro, in tal modo compromettendo anche le altre imprese del conglomerato industriale facente capo a Sidnei Piva.


Nella loro petizione, presentata alle autorità giudiziarie di San Paolo, i creditori, tra cui il Banco Mercantil do Brasil, il fondo di investimenti Ligo Capital e un altro gruppo economico non specificato, denunciarono che la Itapemirim non stava destinando quanto pattuito secondo il piano di recupero giudiziario, vale a dire l’80% dei ricavi degli immobili messi all’asta. Tutto al contrario, facevano notare i creditori, il gruppo di Piva, al mese di settembre sembrava avere destinato 41 milioni di reais a nuovi investimenti, quali la compagnia aerea, appunto, e una banca online, la ITA Bank, una sorta di braccio bancario a supporto delle esigenze dei clienti del gruppo, soprattutto della neonata ITA. Insomma, la maracutaia, per usare un’immagine icastica della lingua portoghese traducibile col termine ‘fregatura’, era stata confezionata più che bene.


Un’azienda che, dal 2016, si trova in amministrazione controllata e soggetta a recupero giudiziario per pagare i creditori, storna il denaro destinato a questo fine, facendo investimenti spericolati in ambiti non immediatamente riconducibili o per niente riconducibili al proprio core business. Da parte sua, l’impresa di Piva ha reagito ai vari reportage pubblicati, negando la maracutaia, per mezzo di una nuova maracutaia, ossia dichiarando che la ITA, la compagnia aerea, non si trova in amministrazione controllata.


Una sorta di spiegazione da gioco delle tre carte, dal momento che il Gruppo Itapemirim al completo si trova in questa situazione ormai da anni. Ciononostante, una logica in una posizione del genere pure sembra esservi. A maggio 2020, Sidnei Piva dichiarò che due non meglio specificati fondi di investimento arabi si erano attivati, concedendo un altrettanto non meglio specificato sussidio di 500 milioni di dollari, in linea teorica, per finanziare la nuova avventura della ITA. Piva dichiarò di avere usato, non solo per la compagnia aerea, il 30% di questa somma di denaro.


Mentre il Gruppo fondato da Camilo Cola aspettava i petrodollari provenienti dagli Emirati Arabi, il 28 giugno del 2021 la Viação Itapemirim firmava un contratto di un anno con l’amministrazione di Nova Friburgo nello Stato di Rio de Janeiro, promettendo di operare sulle linee della Nova Faol, all’epoca attiva, appunto, sulle linee municipali della città carioca. Successivamente, agli inizi di luglio, la Itapemirim propose addirittura di comprare la stessa Nova Faol. Anche stavolta, però, la maracutaia non si è fatta attendere: il gruppo di Piva non ha mai onorato il contratto firmato col sindaco Johnny Maycon e in quel di Nova Friburgo è stata installata una Commissione Speciale di Indagine (Comissão Especial de Inquérito) al fine di far luce sul contratto firmato a suo tempo con la Itapemirim.


Nel frattempo, la liquidità promessa, stando sempre a Piva, dagli arabi non è mai arrivata a rinfrescare le casse vuote della compagnia, al punto che nel novembre del 2020 lo stesso Piva dichiarò che il capitale necessario al progetto della ITA (e a chissà quale altra diavoleria finanziaria) sarebbe venuto da “piccoli investitori brasiliani”. Cinquecento milioni di dollari provenienti da piccoli investitori… Tuttavia, affinché la maracutaia, o se preferite la fregatura, fosse completa, mancava l’ingrediente principale: la connessione degli attuali vertici del Gruppo Itapemirim con l’attuale Governo brasiliano a guida Bolsonaro.


Nel mese di ottobre del 2020, infatti, l’impegno aereo del Gruppo Itapemirim veniva celebrato dal Ministro per le Infrastrutture, Tarcísio Freitas, addirittura nel corso di una live dello stesso Presidente, il quale, ovviamente, si unì alle inopportune celebrazioni. Il figlio maggiore di questi, il senatore Flávio Bolsonaro, alias 01, a sua volta, non perse l’occasione per festeggiare la nuova compagnia aerea, mettendo in evidenza come il Brasile sia e continuerà ad essere la terra delle opportunità per tutti quegli imprenditori disposti ad investire.


Ad evidenziare, una volta di più, i lacci politici di questo avventurismo imprenditoriale a marca Sidnei Piva, vi ha pensato sempre il Ministro Freitas nella giornata di lunedì 20 dicembre, polemizzando contro la decisione di sospendere, da subito, tutti i voli della ITA, definendolo “un fatto grave, che ci lascia estremamente tristi”. In un Paese normale, il fatto grave sarebbe stato la sottrazione di fondi, destinati a pagare i creditori, per investimenti spericolati quali quelli di Sidnei Piva. Nel Brasile di oggi, purtroppo, non è così. Nonostante la strenua difesa, messa in campo da Freitas, del progetto di vettori aerei della Itapemirim, sono i fatti a parlare.


La compagnia aveva pianificato, al giugno 2022, di arrivare a trentacinque destinazioni e cinquanta aerei, mentre la realtà risulta assai più magra: sette aerei e appena quattordici aeroporti raggiunti. Alla fine del 2021, il gruppo si era dato l’obiettivo di arrivare a venti aerei messi in pista, aspettativa poi ridotta a dieci, mentre sempre la realtà dice che, prima del blocco dei voli, di aerei su pista, come detto, se ne contavano appena sette. La compagnia ITA rischia a questo punto una multa di undici milioni di reais per violazione del Codice di Difesa del Consumatore, cui va aggiunta l’eventuale sanzione per danni materiali e morali, che potrebbe venire tramite un’Azione Pubblica Civile.


Ultima in ordine di tempo, infine, è la notizia dell’apertura da parte del proprietario del Gruppo Itapemirim, Sidnei Piva, nell’aprile del 2021, di una società in Inghilterra: la SS Space Capital Group UK Ltd. Una holding di servizi finanziari e fondi di investimento, anche immobiliari, del valore di sei miliardi di reais. Un’operazione, come riportato dal sito di notizie Congresso em Foco, poco chiara nei suoi contorni come pure nelle sue finalità. Più di tutto, resta da capire la provenienza di questa ingente somma di denaro, essendo, il Gruppo Itapemirim, in amministrazione controllata dal 2016, mentre lo stesso Piva è stato denunciato per essere titolare di differenti CPF (il codice fiscale brasiliano), oltre che coinvolto in varie azioni giudiziarie, quali cause del lavoro ed una promossa dalla famiglia Cola, ex-proprietaria del gruppo. Aspetti su cui indagherà la Polizia Federale, la quale nei giorni scorsi, a seguito delle denunce apparse sulla stampa, ha aperto un’inchiesta, prospettando i reati di evasione fiscale, riciclaggio di denaro sporco e crimini contro l’economia popolare.


Anche da sponda governativa, gli attestati di fiducia nei confronti di Piva si sono opportunamente silenziati, lasciando il posto al processo amministrativo aperto, alla vigilia di Natale, dal Ministero di Giustizia e di Pubblica Sicurezza al fine di appurare la complessiva situazione della ITA, la quale ha venti giorni di tempo per presentare la propria difesa.


Quale che sarà l’esito di questo scandalo, due elementi, definibili di sistema, lasciano particolarmente perplessi: i vasi comunicanti tra politica ed economia/finanza - piena eredità della dittatura militare - che ogni volta fanno da detonatore a casi come quello descritto in questo articolo, e le infinite alchimie, che il contesto brasiliano, in particolare, e quello latinoamericano, in generale, sembrano sempre offrire al riciclaggio di denaro.



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