Václav Havel è una delle grandi figure della storia del Novecento: dissidente politico nella Cecoslovacchia comunista, esponente di spicco del movimento Charta 77, eroe della rivoluzione di velluto, fu perseguitato dal regime ma riuscì a farlo cadere nel 1989 e divenne Presidente della Repubblica Cecoslovacca, carica che mantenne anche dopo la trasformazione in Repubblica Ceca nel 1992 fino al 2003. Tutt'ora è considerato nella sua patria il più grande eroe nazionale. Oltre a tutto ciò, Havel è stato anche un grande autore teatrale, amato e rappresentato in tutto il mondo. Per i dieci anni della sua morte, avvenuta proprio in questo mese di dicembre nel 2011, il saggista, drammaturgo ed insegnante pescarese Paolo Verlengia gli ha dedicato un libro "Parola di Václav Havel - Teatro, rock e resistenza dietro il Muro di Berlino” (Edizioni Solfanelli) del quale ha chiacchierato oggi in esclusiva con Spraynews.
Dieci anni fa moriva Václav Havel. Tu hai deciso di dedicare al suo lavoro un libro, perché? Puoi raccontare ai nostri lettori più giovani chi era?
Havel è stato uno dei protagonisti principali della caduta del Muro di Berlino, avvenuta nel 1989. Un avvenimento storico, perché prima di allora il mondo era fondamentalmente diviso in due: da una parte c’erano i paesi europei e l’America, uniti da una alleanza che risaliva al dopoguerra; dall’altra parte c’erano i paesi dell’ Est europeo, alleati con la Russia (allora, "Unione Sovietica") che però esercitava un ruolo di controllo su di loro: decideva la linea di governo in ogni settore (dall'economia all'istruzione o al diritto di parola, e dunque la censura) e i paesi come Polonia, Romania, Bulgaria o Cecoslovacchia dovevano obbedire ed eseguire le indicazioni sovietiche.
Havel era uno scrittore di Praga, scriveva soprattutto opere teatrali a partire dagli anni '60, ottenendo da subito un grande successo anche all'estero (nel '68 vinse addirittura due premi Obie) anche se inizialmente era stato danneggiato non poco dal governo del suo paese. Ciò nonostante, Havel continuava ad esporsi pubblicamente, con articoli, dibattiti, manifestazioni in cui criticava le violazioni dei diritti umani nei paesi dell'Est europeo. Per questo motivo, il nome di Havel fu messo all'indice: i suoi testi furono ritirati da librerie e biblioteche, i teatri non potevano più rappresentare le sue commedie, lui non poteva più scrivere e pubblicare. Fu persino messo in carcere per più di quattro anni in condizioni durissime, tanto da rischiare la morte.
Insomma, un impegno totale da parte sua a favore della democrazia e della libertà: per questo, Havel divenne l'incarnazione del cambiamento sentito negli '80 e che porterà infine alla caduta del Muro. E così, nel 1989 Havel viene eletto all'unanimità presidente della Repubblica Cecoslovacca. Uno scrittore che diventa capo di stato: un evento davvero unico!
Tu credi che il lavoro teatrale e la storia politica di Havel siano ancora attuali oggi, e nel caso secondo te cosa possono insegnare sul presente?
La storia politica di Havel conserva contatti fortissimi con il presente. Per rendersene conto, basterebbe guardare alcune ricorrenze. Oltre ai dieci anni dalla sua scomparsa, quest'anno si sono celebrati i sessant'anni dalla costruzione del Muro di Berlino, mentre solo due anni fa festeggiavamo il trentennale della sua caduta.
Personalmente, ho iniziato a scrivere il mio libro su Havel nel 2018, in occasione del cinquantesimo anniversario del '68, un anno cruciale per la società occidentale: pensiamo alle contestazioni universitarie, la liberazione sessuale, il movimento pacifista contro la guerra del Vietnam e un intero cambiamento in ambito culturale ed artistico, dal cinema alla musica rock... ma anche "ad Est" il '68 segnò un punto di non ritorno, con l'invasione di Praga da parte dei carrarmati sovietici. Ecco, Havel ha attraversato tutti questi passaggi storici, di cui oggi viviamo l'onda delle conseguenze.
Penso alla situazione critica tra Polonia e Bielorussia, e più in generale una certa spinta sovranista diffusa sull'area dell'ex Blocco Sovietico - con il cosiddetto "gruppo di Visegrad" - e la tentazione di costruire nuovi muri. E poi le nuove tensioni tra Usa e Russia, con la Cina come nuova superpotenza, dove la crescita economica convive con la negazione di diritti umani proprio come succedeva ai tempi di Havel. Questa velocissima fotografia sull'oggi ci mostra uno scenario internazionale inquieto, che non ha ancora trovato un punto di equilibrio, ma un dato è certo: quello che sta accadendo ora è il risultato diretto della caduta del Muro di Berlino. Quel mondo diviso in due parti non comunicanti ha rappresentato per quasi mezzo secolo lo schema su cui abbiamo costruito il presente e pensato il futuro, anche se si trattava di una base effimera ed ora siamo alla ricerca di una nuova visione. Il terrorismo islamico, che ci spaventa oggi, era ai tempi della guerra fredda il "cavallo di troia" che noi occidentali usavamo per infastidire l'egemonia sovietica nell'altra metà di mondo.
Ma oggi i muri e le divisioni non sono più una opzione utile: il covid ci mette in guardia da ogni soluzione nazionalista e ci insegna nel modo più spietato che da qui in poi ogni soluzione seria e duratura non può che passare dalla collaborazione internazionale. Insomma, la lezione dell'89 è ancora valida ed attualissima.
Parliamo invece del teatro di Havel. Quanto è attuale e quanto è legato alla storia politica del suo autore?
Questo è un aspetto molto interessante. Havel è stato un personaggio unico proprio in virtù della sua duplicità: da una parte è stato uno scrittore, un artista, un intellettuale, ma al contempo è stato un attivista e poi un uomo politico. Anzi, oggi possiamo affermare che il percorso politico di Havel abbia oscurato nella memoria dei più il suo passato di scrittore e di artista.
Si tratta in effetti di una dualità che non è mai diventata una fusione: Havel non ha mai mescolato la scrittura con l'impegno politico. Certo, ha scritto articoli e saggi importanti dedicati alle problematiche sociali - su tutti Il potere dei senza potere - ma quando scriveva per il teatro, il discorso politico restava fuori. O meglio, non diventava mai il tema, l'oggetto o il soggetto della scrittura. Soprattutto nelle sue prime opere, quelle che gli assicurarono un successo folgorante, il dato che colpisce di più è l'aspetto giocoso, l'umorismo surreale, il ritmo altissimo che sostiene il testo. Leggendo tra le righe, si possono cogliere riferimenti al regime, oppure in determinate opere sono presenti filosofi e scrittori, ma l'aspetto che prevale sempre è l'atmosfera "kafkiana" condita di un sarcasmo sempre ricco di situazioni scoppiettanti.
Più che una satira del socialismo, sembra una raffigurazione satirica sull'assurdità del mondo, della burocrazia e del linguaggio di fronte ai quali l'individuo appare inerme, ridotto al ruolo di una marionetta. Non è un caso che il teatro di Havel sia stato annoverato nel genere del teatro dell'assurdo dal grande studioso Martin Esslin, assieme ad autori come Beckett, Ionesco, Dürrenmatt. In questo senso, il teatro di Havel contiene una riflessione universale e atemporale sulla condizione umana, conservando una sua intima attualità.
Passiamo ora dal contesto generale a quello specifico del tuo libro. Come è costruito? Quali aspetti analizzi maggiormente della figura di Havel ed in che modo?
Nel mio libro ho deciso di focalizzare l'osservazione sulle opere di Havel, proprio perché -come accennavamo prima- sono forse il suo lascito meno conosciuto, quello che più facilmente viene dimenticato. Questa prospettiva - ovvero la scelta di raccontare un personaggio storico a partire dalla storia delle sue opere letterarie - mi permetteva infatti di ricostruire un intero contesto: cosa accadeva dietro al Muro di Berlino quando un autore veniva colpito dalla censura? E non si tratta di un discorso specialistico, per studiosi di storia, di letteratura o di teatro.
Al contrario, questo taglio permette di capire meglio come funzionava materialmente la vita di tutti i giorni in una intera metà di mondo, con cui convivevamo ma di cui sapevamo poco o nulla in concreto. Ad esempio, esisteva un intero strato di clandestinità, in cui si faceva e si diceva tutto quello che il regime vietava. Esistevano i samizdat, le copie non autorizzate dei libri censurati, battute a macchina e poi copiate in ciclostile in numero limitato di rilegature artigianali. Giravano di mano in mano, con il rischio di farsi scoprire dagli agenti della polizia segreta che si mescolavano alla popolazione comune. Havel stesso fondò una sua rivista samizdat nel 1975, per far conoscere le opere degli autori non allineati o degli autori stranieri, ma anche per continuare a parlare con i suoi concittadini, a denunciare le ingiustizie che non venivano raccontate sugli organi ufficiali di informazione, o meglio di propaganda.
Questa opera rischiosissima e apparentemente utopica ha permesso di costruire nel corso degli anni una rete di dissenso diffuso che più tardi avrebbe portato alla "Rivoluzione di Velluto", le manifestazioni di massa del 1989, quando si è assistito ad una accelerazione degli eventi altrimenti non spiegabile.
Havel era un autore censurato in patria e dunque non poteva pubblicare né opere teatrali né articoli. Come è possibile che in quegli stessi anni i suoi testi venissero letti all'estero?
Questo è un punto fondamentale, che si lega strettamente a quanto stavamo dicendo ora. Nel mio libro dedico i due capitoli centrali alla traduzione, non come operazione linguistica o tecnica, ma come canale con cui gli autori censurati nell'Europa dell'Est riuscivano ad uscire dalla clandestinità. Per raccogliere informazioni precise e complete su questi aspetti, ho lavorato molto su fonti straniere e materiali inediti in Italia.
Come dici tu, c'era un paradosso evidente: Havel era ufficialmente censurato in Cecoslovacchia ma contemporaneamente le sue opere venivano pubblicate e messe in scena in Germania, in Francia o in America. In Occidente, faceva ovviamente gola - per motivi politici ben prima che artistici - dare risalto ad un autore dissidente di un paese socialista. Ma qui si apre una "storia nella storia": il sodalizio di Havel con Vera Blackwell, la sua traduttrice in lingua inglese. Proprio così: traduttrice, e non è un dettaglio. Una donna in un mondo di uomini, quale quello dell'editoria in piena guerra fredda, lungo la linea di confine tra i due blocchi nemici. Non è un caso che per Havel fu più difficile raggiungere il mercato di lingua inglese rispetto, ad esempio, al mercato di lingua tedesca. Il suo legame con Vera Blackwell fu sempre guardato con sospetto dalle case editrici e dagli operatori teatrali. Di certo, Vera Blackwell è stata un personaggio eccezionale, per certi versi eroico, protagonista di traversie personali e professionali da autentica spy story. Ma più di tutto, la sua figura testimonia l'importanza ricoperta dalle donne in un passaggio storico epocale come quello che ha portato alla caduta del Muro di Berlino. D'altronde, non poteva e non può essere altrimenti: un cambiamento radicale della società avviene solo se coinvolge tutti e non esclude nessuna categoria. Ed anche questa è una lezione assolutamente attuale.
Oltre a Vera Blackwell, bisogna ricordare assolutamente Olga Šplíchalová, la moglie di Havel, prima lettrice dei suoi scritti e prima sostenitrice delle sue battaglie, ma direi molto più che questo, visto che fu lei a portare avanti da sola i samizdat di Havel e le campagne per i diritti umani avviate dal marito nel periodo in cui lui era in prigione.
Il sottotitolo del tuo libro parla di "teatro, rock e resistenza dietro il Muro di Berlino". Cosa c'entra la musica rock con la caduta del Muro?
Può sorprendere, ma il rock ha avuto un ruolo per certi versi decisivo nella caduta del Muro. Non a caso, nel mio libro dedico un capitolo intero al rock nei paesi del Blocco Sovietico ed in particolare alla scena rock praghese. Partiamo da un dato di fondo: nei paesi socialisti il rock ufficialmente non esisteva, non si poteva ascoltare né tanto meno suonare: per il partito, il rock rappresentava la musica del capitalismo e dunque qualcosa di "blasfemo". Ma, come dicevamo prima, esisteva un circuito clandestino dove circolava ufficiosamente tutto quello che il partito vietava. Nel caso specifico, si trattava di audiocassette pirata di pessima qualità su cui erano state registrate le canzoni delle rock star occidentali: Frank Zappa, Captain Beefheart, i Velvet Underground... Allo stesso modo, si organizzavano di nascosto concerti rock, magari in aperta campagna, dove si sperava che la polizia non arrivasse. Ma spesso la polizia arrivava e come, sequestrava o distruggeva gli strumenti musicali, arrestava i musicisti e gli spettatori. Si rischiava quindi di essere licenziati dal proprio lavoro per aver partecipato ad un concerto o perché si possedeva un nastro pirata o la fotocopia di un libro proibito.
Il dato storicamente interessante è che il fronte del dissenso non era unico e nemmeno unito: c'erano i filosofi e gli accademici, gli artisti e gli scrittori, gli attori e i registi, ma c'erano anche gli studenti oppure gli "scapigliati" che che suonavano il rock. Spesso si trattava di ambienti chiusi ed isolati, che non comunicavano tra di loro anche se combattevano uno stesso nemico. Havel intuì subito questo limite e riuscì a cementare il movimento del dissenso proprio avvicinando gli ambienti del rock praghese. Comunque, va detto che nel compiere questo passo Havel non fece un grande sforzo empatico: anche lui ascoltava ed amava la musica rock. Non a caso, tra le tante definizioni, è passato alla storia come "il presidente amico delle rock star", viste le sue frequentazioni con Lou Reed, Frank Zappa o i Rolling Stones...
Da Václav Havel a Paolo Verlengia: ci puoi dire qualcosa di te, del tuo lavoro e dei tuoi prossimi progetti?
Mi occupo di teatro da diversi anni ormai, come ricercatore e come critico teatrale, oltre che come autore e traduttore. Al momento, sono in uscita una mia raccolta di poesia ed un volume di drammaturgia che raccoglie un primo ciclo dei miei testi teatrali. Tra i progetti attualmente in corso, sto continuando a lavorare sui legami cross-mediali che intercorrono tra gli eventi della storia contemporanea e le forme di cultura popolare, un po' come è successo con il rock ai tempi di Havel. Poi, sto scrivendo un nuovo volume di drammaturgia, contenente il secondo ciclo dei miei testi teatrali, ed infine c'è un importante progetto di traduzione, su di un inedito teatrale che ho scovato durante una delle mie ricerche... Non dico nulla per scaramanzia. Ma se vuoi, ne riparliamo tra un po'.
Di Umberto Baccolo.
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