di Michele Lo Foco
Roma caput studios è l’esilarante definizione che la giornalista Gloria Satta, ormai pervicacemente attaccata alle gonnelle di Cinecittà, riserva sul “Messaggero” per l’articolo “la fabbrica dei sogni”, inconsapevolmente dichiarando che il 70% delle produzioni che invadono gli studi sono straniere.
La Satta è talmente presa dal suo ruolo di incensatrice da non accorgersi che sia Lux Vide che Tarak Ben Ammar, da lei descritti come nuovi costruttori di studi, sono stranieri, il che equivale a dire che tutto il movimento audiovisivo europeo si sta dirigendo verso l’Italia che ha il tax credit più irragionevole sia mai stato concepito, e che prima o poi finirà per creare scandalo.
E’ noto a tutti gli operatori che essendo il settore sempre sottocapitalizzato ed alla ricerca di sovvenzioni, non appena un Paese decide di concederle, tutti si affannano per produrre in quel Paese.
Ma solo in Italia questa manna ha tale durata e tale intensità, e mentre i Paesi europei si limitano a sostenere specifici settori, ed in particolare la distribuzione e la distribuzione estera, noi sosteniamo tutto, tutti, ed in particolare gli stranieri, con il risultato che i nostri prodotti, che non varcano nemmeno per sbaglio i confini nazionali, sono considerati alla stregua di quelli greci o di Malta, cioè meno di zero.
Eppure non c’è bisogno di essere degli esperti per comprendere che una volta l’Italia era capace di affermarsi nel mondo dello spettacolo e di far conoscere a tutti i propri attori, e non c’era il tax credit ma solo l’assoluto talento di scrittori e di attori.
Una volta, lo dico per i più giovani, l’invasione di prodotti esteri era ostacolata, non favorita, e tengo a ripetere che “reciprocità” non è un termine desueto, ma una regola che andrebbe rispettata. Infatti mentre siamo costantemente invasi da aziende straniere, che oltre ad acquistare le nostre depredano i fatturati di Rai, non mi viene in mente una sola azienda straniera acquisita nel settore da una italiana.
Ridurre a normalità il tax credit non è più una scelta, è un obbligo, come fu un obbligo quello di bloccare il tax credit esterno, oggetto di malversazioni, e di loschi intrighi, ed il ragionamento che le maestranze lavorano più di prima grazie al tax credit è come sostenere che consentire la vendita delle sigarette di contrabbando è un modo per far lavorare molte persone. Certo, lo è, ma se un Paese per favorire la manodopera deve creare le condizioni perché i privati imbroglino, vuol dire che non è capace di creare stabili meccanismi di lavoro che favoriscano le capacità soprattutto delle imprese nazionali.
In altri campi, nella moda, nell’alimentare, nella meccanica, l’Italia, senza tax credit, senza contributi, sovrasta i mercati e li permea di italianità, se mi è consentito l’inserimento. Nello spettacolo, lasciato unicamente nelle mani di persone che ne approfittano, l’italianità è diventata volgarità, noia e conformismo in ogni espressione, dalla pubblicità alle fiction, riducendo il nostro spettacolo televisivo cinematografico alla stregua dei più modesti fenomeni europei.
Ed è incredibile che a tessere le lodi di un settore così largamente e inutilmente finanziato siano ammessi Andrea Scrosati, che aldilà del nome italiano gestisce abilmente una società straniera, la Fremantle, e l’amministratore di Warner, uniti in un abbraccio fraterno a Rai Cinema e a IIF di Federica Lucisano. Sono tutti soddisfatti!
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Dall’inizio della storia umana gli individui si sono posti domande sul mondo e sul proprio ruolo in esso.
Spesso le risposte si trovavano nelle religioni, che spiegavano il funzionamento dell’universo e offrivano un sistema di riferimento.
Alcuni cominciarono a cercare risposte basate sulla ragione anziché sulle convenzioni.
Talete, il primo filosofo conosciuto, studiò la natura e stimolò altri a domandarsi “di cosa è fatto il mondo?”. Per lui l’acqua è la materia fondamentale, per Anassimandro è l’indefinito “Apeiron”, per Anassimene l’aria, per altri il fuoco, per altri ancora la congiunzione e lo scontro tra acqua, fuoco, aria, terra.
Bene, se questi sono i primordi della filosofia, che raramente vengono illustrati ai bambini, un cartone animato americano, geniale, prende questi elementi e li trasforma in personaggi, creando nei più piccoli una suggestione profonda che si trasforma poi in conoscenza, e ovviamente raggiunge subito il primo posto in classifica.
Se un produttore italiano avesse tentato di spiegare ad una emittente questo progetto sarebbe stato messo alla porta, e non solo perché i cartoni animati non consentono l’uso di attori e soprattutto di attrici, ma perché argomenti così semplici ma sofisticati sono ormai fuori della mentalità produttiva nazionale, che vive solo di racconti intimistici o autocelebrativi o beceri.
Noi ci presentiamo sul mercato con “un matrimonio mostruoso”, specie di cinepanettone di serie b, che nonostante le incredibili ed inutili elargizioni statali va subito al settimo posto in classifica con 26.000 euro circa di box office, sparsi in oltre 250 schermi, una assoluta miseria per un prodotto non qualificabile.
E’ realmente incomprensibile come nessuno si accorga che la decantata crescita della produzione audiovisiva sia accompagnata da una formidabile decrescita della qualità e del mercato nazionale, che è diventato il parco giochi di tutte le società estere che desiderino risparmiare e guadagnare sui budget.
Eppure basta guardare il cinetel per comprendere che se normalmente nei primi dieci posti della classifica ci sono prodotti stranieri qualcosa non funziona, e basta prendere atto che il 70% dei nostri film non viene nemmeno distribuito per capire che non è il mercato ad interessare ma solo il tax credit rapportato ad un budget che di reale non ha più nulla.
E se la burocrazia strabica del nostro paese si preoccupa di precisare che “produzione associata” deve essere modificato in “coproduzione”, nessuno è in grado di radiografare le enormi quantità di fatture false o di soprafatturazioni, per le quali si sono create specifiche fabbriche, che sono ormai l’anima dei budget.
Incredibile (ma è così) che la figura del produttore “indipendente” comprenda praticamente tutti, major e miserabili, e che i prodotti televisivi incassino il tax credit, rendendo i cosiddetti produttori televisivi ricchi e potenti.
Eppure questa è l’Italia di Gloria Satta, contenta che Lux e Tarak Ben Ammar, cioè due stranieri, promettono di costruire teatri di posa nella convinzione che il tax credit durerà ancora a lungo.
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