di Michele Lo Foco
“Curare gli effetti senza curare la causa “sembra essere il principio base degli interventi annunciati dalla Senatrice Borgonzoni in merito alla programmazione estiva della sale.
La riduzione del 50% del costo del biglietto fa parte di quel genere di interventi a gamba tesa con i quali lo Stato interviene in un settore cercando di correggere una prassi consolidata dal mercato, nella convinzione che regalando soldi agli spettatori ed operatori il cinema riprenderà vita. Lo Stato in sostanza dà al settore una dose di tachipirina per abbassare la febbre, senza occuparsi del perché sia venuta.
Il ritornello è sempre lo stesso: politica, soldi, ANICA AGIS, tutti contenti di poter annunciare le nuove concessioni, ricordando che in passato l’analoga iniziativa Moviement ha portato molta gente al cinema.
Ma la realtà è ben diversa.
L’Italia è un paese mediterraneo, sul mare, con estati calde ed afose, che la gente preferisce affrontare all’aria aperta pranzando nei giardini, correndo sulla spiaggia. Nulla di male, la Sicilia non è la Finlandia o il Belgio, la Puglia non assomiglia alla Germania, ed il nostro Paese non è l’America, dove le ferie vengono diluite durante l’anno. Noi siamo il paese delle bellezze storiche e panoramiche e facciamo le ferie tutte insieme tra luglio ed agosto, non c’è Stato che possa modificare questa realtà.
A che serve buttare venti milioni di Euro per facilitare qualche film e qualche distributore forzando la gente ad andare al cinema?
Con questo sistema può essere affrontato qualunque aspetto della convivenza: vogliamo facilitare Fiat? Lo stato mette il 50% del costo e la 500 ti viene portata a casa per seimila euro, anche se non ti piace. Vogliamo facilitare il consumo di formaggio grana, che in estate diminuisce? Lo Stato paga la metà della forma.
La stagionalità, che la politica tenta di modificare da quarant’anni, è un dato genetico nel nostro paese, non è possibile combatterla, va rispettata.
Una volta esistevano le seconde visioni a prezzo ridotto, se proprio vogliamo parlare di prezzi bassi!
Ma entriamo in un altro ambito che la politica ha totalmente equivocato, cioè il tempo minimo necessario ad un film per essere trasmesso in televisione.
La Senatrice Borgonzoni ed il Ministro Bonisoli stabilirono il principio in base al quale un film non avrebbe dovuto aspettare per essere trasmesso in televisione, ipotizzando che l’attesa lo avrebbe penalizzato. 105 giorni era il termine precedente, divenuto poi 90 giorni.
In Francia il termine era di tre anni ed oggi è di 15 mesi. Da questo confronto si evidenzia una profonda divergenza di strategia, che fa sì che la Francia sia enormemente più accreditata nel mondo della nostra povera Italia. Noi siamo una colonia americana, e le piattaforme, definite “occulte” dalla Guardia di Finanza, approfittano della nostra timidezza per dominare il mercato. La senatrice Borgonzoni sa quanto paga un film Amazon quando viene scelto da un abbonato? Temo di no. Parliamo di sfruttamento e mai parola fu più appropriata:
13 millesimi di Euro per ora di visione moltiplicati per un coefficiente CER (customer engagement rank) generato da un algoritmo che considera il gradimento del film tramite articoli e recensioni.
Pertanto un film medio italiano viene pagato sette/otto millesimi per ora.
Questo quindi è il ricavo della “auspicata” programmazione sulle piattaforme di un film che non ha avuto un decoroso accoglimento al cinema. Non è forse meglio, allora, difendere il cinema in sala come fanno i francesi e costringere le piattaforme a produrre?
Esiste poi sempre l’istituto della “deroga”, come prevedeva un tempo una saggia ANICA con una specifica commissione, mentre l’attuale ANICA diventata l’ufficio di Rutelli, non si occupa d’altro che di favorire le major, le piattaforme e perchè no i potentati in generale.
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